È un fatto che la paternità dell’invenzione dell’automobile ancora non si può dire sia del tutto chiarita, dopo quasi un secolo e mezzo, nonostante per i più debba essere attribuita a Karl Benz, che concentrò nel famoso triciclo Patent-Motorwagen (con il quale sua moglie Bertha effettuò il primo viaggio in automobile della storia, ben 200 chilometri sulle strade del 1888) le esperienze di più inventori, come Enrico Bernardi e Gottlieb Daimler. Si può invece individuare con ragionevole convinzione la precisa data di nascita dell’automobile “moderna”, cioè quel genere di automobile che utilizziamo tutti i giorni: si tratta del 4 ottobre 1922.
È questo il giorno in cui al Grand Palais di Parigi, ove si tenne il Salone dell’Automobile, venne presentata la scocca nuda e cruda della Lancia Lambda, subito dopo riproposta, il 3 novembre, all’Olympia Show di Londra.
Era solo una scocca, ma rappresentava un’autentica rivoluzione e introduceva un modo tutto nuovo di concepire l’automobile. Se ne attribuisce comunemente l’origine a una geniale intuizione di Vincenzo Lancia, durante un viaggio in nave di ritorno dagli Stati Uniti. Lancia si convinse della possibilità di adottare, anche per le automobili, lo stesso principio che sta alla base dello scafo delle navi.
La carrozzeria, cioè, anziché essere avvitata sul classico telaio a longheroni e traverse, avrebbe potuto formare un tutt’uno con il telaio stesso, avvolgendo lateralmente la vettura e sostenendo direttamente il motore e gli organi meccanici. Nasceva così la scocca portante, con la carrozzeria non più con soli scopi dettati da esigenze estetiche e di schermatura con l’esterno, ma come ossatura dell’automobile, contribuendo ad aumentare la resistenza torsionale e la rigidità.
E non era tutto qui: la Lambda presentava ulteriori primizie. Anzitutto le sospensioni anteriori a ruote indipendenti e non più strettamente collegate fra loro. Si tratta di un’altra imprescindibile caratteristica delle auto odierne, questa, che si deve ad un’ennesima felice idea di Vincenzo Lancia, scaturita quando rischiò il ribaltamento della propria Lancia Kappa, per la rottura di una balestra, mentre con l’anziana madre a bordo si stava recando in Valsesia. Ma non è ancora finita. Il motore, tra i primi al mondo fusi in alluminio, insolitamente unito al cambio nello stesso vano, aveva caratteristiche da competizione, un quattro cilindri a V strettissimo, che girava a una velocità fino ad allora ritenuta proibitiva. Per irrigidire ulteriormente la scocca e abbassare il baricentro, l’albero di trasmissione venne poi inserito all’interno del telaio, anziché al di sotto: nasceva così il moderno tunnel di trasmissione.
Se la maggior parte delle novità nascevano da idee di Lancia messe in pratica dai suoi tecnici, primo fra tutti Battista Falchetto, almeno in un caso fu proprio quest’ultimo a convincere lo scettico Lancia della bontà dell’ennesima perla della Lambda: i freni sulle quattro ruote, azionabili contemporaneamente, con ripartizione bilanciata tra le ruote stesse. La Lambda era tutto questo, un eccezionale concentrato di innovazioni e di ricercatezza tecnologica, che capovolgevano tutti i conosciuti canoni di progettazione. Il notevole abbassamento di tutta la struttura, consentito dalla carrozzeria portante, dal compatto motore a V e dall’assenza dell’assale rigido anteriore, conferiva alla vettura un aspetto inedito e sorprendente. Era eccezionalmente bassa, di forma squadrata e con una linea di cintura senza precedenti. Era dotata di quattro piccole portiere uguali fra loro e coda lunga e affusolata, studiata per aumentare la rigidità della scocca, dando peraltro incidentalmente origine al primo bagagliaio chiuso, accessibile dall’esterno, della storia.
Il frontale era caratterizzato dalla calandra, anch’essa squadrata per esigenze strutturali, a forma di tempio greco, motivo ripreso in seguito per costituire il fregio del Club Lancia Hi-Fi, che raggruppava i migliori e più fedeli clienti, e che a sua volta originò l’acronimo HF, logo della Squadra Corse Lancia, che contraddistinse le invincibili Fulvia, Stratos e Delta. Nonostante le perplessità iniziali e l’ostilità alimentata dai costruttori concorrenti, che vedevano le loro vetture invecchiare all’improvviso, la Lambda ebbe subito successo, soprattutto all’estero, considerando anche il prezzo, non del tutto economico.
Ciò anche grazie alle competizioni, dove si piazzò sempre ai primi posti, pur in assenza di qualsiasi appoggio da parte della Casa e malgrado la Lambda non fosse proprio stata concepita come vettura da corsa. Si trattava infatti di un’auto con una tenuta di strada sconosciuta alle concorrenti, rispetto alle quali era più leggera, più agile e più sicura. Offriva inoltre notevole confort, uno sterzo reattivo, grande elasticità e dolcezza di guida.
Fu un vero capolavoro di tecnologia, che costituì per decenni la fonte di ispirazione di tutti i concorrenti. Venne costruita in nove serie, dal 1923 al 1931, passando dai 2120 cc per 49 cavalli della prima serie, ai 2570 cc per 69 cavalli dell’ultima, che superava così la notevole velocità, per l’epoca, di 120 chilometri all’ora. Divenne l’auto preferita dalla borghesia di fascia medio alta, come testimonia la Lambda appartenuta al Maestro Giacomo Puccini, e fu protagonista dei più clamorosi fatti di cronaca dell’epoca, dal rapimento di Giacomo Matteotti, portato via su una Lambda nera, all’attentato a Benito Mussolini, la cui Limousine Coupé fu oggetto di una granata lanciata a Porta Pia.
Celebri all’estero, dove fu esportato più del 40% della produzione, la Lambda della “Divina” Greta Garbo, immortalata in una famosissima foto, e quella delle australiane Robertson e Howell, che nel 1927 attraversarono gran parte del loro continente, per oltre 7.000 miglia, senza alcun problema meccanico, salvo le forature. Delle circa tredicimila Lambda prodotte, ne sopravvivono oggi circa cinque/seicento, delle quali solo un centinaio si trovano in Italia.
È una vettura che non cessa di far bella mostra di sé in tutte le più prestigiose manifestazioni del mondo, dalla Mille Miglia ai grandi concorsi internazionali, grazie anche a una affidabilità e a una semplicità di guida proverbiali. Ovvio che una vettura così raffinata ed innovatrice, simbolo di un’epoca, portatrice di un estro meccanico tale da presentare soluzioni tecniche valide ancora oggi, si mantiene su valori di livello adeguato al suo prestigio; esemplari in ottime condizioni, nelle rarissime occasioni in cui siano poste in vendita, spuntano infatti facilmente quotazioni vicine ai 200mila e anche ai 250mila euro.
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