La quota di riserve ufficiali di valuta estera in dollari detenuta dalle banche centrali è scesa al 59 per cento durante il quarto trimestre del 2020 – il suo livello più basso in 25 anni
Gli scambi internazionali continuano ad essere in dollari: il 90% delle transazioni operate in valuta estera riguarda il dollaro statunitense
“Non riesco a trovare nessun periodo storico in cui la politica monetaria e fiscale sia stata così lontana dalle circostanze economiche”, ha dichiarato Stanley Druckenmiller al Financial Times
Riserve in dollari in calo
Se è vero che previsioni di questo genere se ne sentono ogni giorno, le opinioni di Druckenmiller sulle valute non dovrebbero essere liquidate con leggerezza. Druckenmiller è infatti l’uomo che con George Soros piegò la sterlina, scommettendo nel 1992 sull’uscita della valuta inglese dal meccanismo di cambio europeo. L’avvertimento di Druckenmiller arriva sullo sfondo di una lunga ritirata dal dollaro, mentre il mondo si è spostato gradualmente verso un sistema di valuta di riserva multipla. Anche prima della pandemia di coronavirus e delle straordinarie condizioni economiche che ha generato, c’erano segni che il dominio del dollaro stava scivolando. L’ultima indagine del Fmi sulle riserve ufficiali di valuta estera mostra che la quota di riserve in dollari detenute dalle banche centrali è scesa al 59 per cento durante il quarto trimestre del 2020 – il suo livello più basso in 25 anni. Nel 1999, anno in cui l’euro è stato lanciato, tale quota era al 71 per cento.
Fine dell’esorbitante privilegio?
Tale tendenza del dollaro a fuoriuscire (a piccole dosi) dalla pancia delle banche centrali è giustificata, come spiega Barry Eichengreen dell’Università della California. Dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno rappresentato la maggior parte della produzione industriale del mondo. Aveva dunque senso che il dollaro fosse l’unità principale in cui gli esportatori e gli importatori fatturavano e regolavano il loro commercio, in cui venivano estesi i prestiti internazionali e in cui le banche centrali tenevano le loro riserve. Oggi, con gli Stati Uniti che rappresentano meno di un quarto del prodotto interno lordo mondiale, questo ha meno senso e ciò che rimane al dollaro è quello che è stato definito dall’allora ministro delle finanze francese Giscard d’Estaing negli anni ’60, il “privilegio esorbitante”. Il governo degli Stati Uniti può prendere in prestito più a buon mercato rispetto agli altri paesi per via della maggiore domanda dei suoi titoli di credito derivanti dal ruolo di valuta di riserva. Un altro aspetto del privilegio esorbitante è che la Federal Reserve, con un mandato orientato alle condizioni puramente nazionali, stabilisce una politica monetaria per tutto il mondo che per molti paesi è meno che ottimale. Gli ultimi numeri del Fmi confermano che il privilegio si sta erodendo man mano che i paesi che commerciano e prendono in prestito dalla zona euro cercano sempre più di detenere riserve in euro e renminbi quando si tratta della Cina.
Questione di credibilità e buon governo
La posta in gioco è alta. La caduta del dollaro potrebbe avere implicazioni sul fronte della leadership economica degli Stati Uniti, anche se, come fa notare, Dario Perkins, responsabile della macroeconomia globale di TSLombard, il passaggio del testimone ad altra potenza avviene di rado. E a guardare bene, vedasi la Venezia del XV secolo, Amsterdam alla fine del 1700 o il Regno Unito negli anni ’40, spesso ciò avviene a seguito di disordini politici che di solito comportano devastanti conflitti militari. In tempo di pace invece la minaccia principale allo status di valuta di riserva è la cattiva gestione economica e finanziaria. E con il tesoro che pompa liquidità e la Federal Reserve che non sembra orientata a una stretta monetaria in previsione dell’inflazione, le basi perché ciò avvenga ci sono tutte. È così che la pensa l’ex segretario al Tesoro (democratico) Larry Summers, che al Ft ha detto che l’amministrazione Biden sta perseguendo la politica macroeconomica fiscale meno responsabile gli Stati Uniti hanno avuto negli ultimi 40 anni. Fronte monetario, secondo Summers, il problema sono le aspettative di inflazione, che difficilmente potranno rimanere ancorate a lungo. “Stiamo assistendo a un episodio che penso differisca sia quantitativamente che qualitativamente da qualsiasi cosa dai tempi di Paul Volcker alla Fed, ed è ragionevole che questo porti a cambiamenti significativi nelle aspettative”.