Il Giappone sta cercando di sfuggire a un contesto di tassi negativi e al fenomeno definito ‘Japanification’
L’aumento dell’imposta sui consumi in Giappone è parte di un più ampio tentativo di riequilibrio intergenerazionale
I policy-maker di tutto il mondo stanno cercando indizi per evitare di incorrere nella stessa situazione del Giappone
La Japanification
“Per tre decenni – ricorda Monier – in Giappone abbiamo assistito alla ‘Japanification’ – un fenomeno caratterizzato da inflazione stagnante, bassa crescita economica e un’economia a bassi tassi d’interesse – a causa del peggioramento del profilo demografico del paese.
Nel periodo che va dallo scoppio della bolla del 1990 all’inizio di Abenomics nel 2012, i salari dei lavoratori, bonus esclusi, sono aumentati di uno scarso 7,5% e, se paragonati ai livelli toccati nella metà degli anni ’90, sono diminuiti drasticamente. In confronto, nello stesso periodo i salari orari medi americani sono quasi raddoppiati”.
Le tanto attese tasse
Il 1 ottobre “il Giappone ha imposto il tanto atteso aumento dell’Iva, portando l’aliquota dall’8% al 10%, il primo aumento dal 2014 e il quarto dal 1989. L’imposta sui consumi viene applicata a beni e servizi – a eccezione dei prodotti alimentari e delle bevande – e può anche finanziare lo stato sociale, e la scolarizzazione”, spiega Monier.
“Soprattutto dopo le difficoltà economiche a seguito all’aumento del 3% del 2014, molti analisti ritengono che l’aumento fiscale del 2% sia stato un ‘auto goal’, a causa dell’impatto sui consumi e, di conseguenza, lo stesso si può dire il programma di reflazione di Abe”, prosegue il manager.
“Tuttavia – prosegue la decisione del governo non è priva di merito. Rispetto all’imposta sul reddito, l’imposta sui consumi ha il vantaggio di essere più efficiente, stabile e prevedibile. La misura crea una nuova base imponibile, a condizione che l’impatto possa essere attenuato attraverso un sostegno politico a breve termine, aggiungendo una fonte permanente di entrate per il governo e un ulteriore margine di flessibilità fiscale per il futuro”.
“I critici, inoltre, sottolineano che il tanto criticato aumento delle tasse del 2014 ha segnato il picco della traiettoria del debito pubblico giapponese, che da allora si è spostata lateralmente in percentuale del Pil”, sottolinea Monier.
Il governo “ha imparato da quanto accaduto nel 2014 e ha anticipato un aumento della volatilità dei consumi nei prossimi mesi con una serie di contromisure, tra cui incentivi per allontanare la spesa dal contante (il Giappone è uno dei maggiori utilizzatori di contante al mondo), e sostegno fiscale per le famiglie”, continua ancora il manager.
I vincoli delle banche centrali
Se “da un lato il governo di Abe gode di una certa flessibilità politica nel gestire l’impatto dell’aumento dell’Iva, dall’altro la banca centrale giapponese deve affrontare maggiori vincoli, anche se di natura più politica”, chiarisce Monier.
Per Monier, “la prima risposta a una sostanziale recessione può essere principalmente di natura fiscale e quindi la prossima mossa della BoJ potrebbe concentrarsi sul sostegno alle misure di stabilizzazione del governo Abe. A causa della persistente attività di lobbying da parte delle banche, alcuni ipotizzano che la BoJ potrebbe tagliare i tassi a breve termine e ridurre contemporaneamente gli acquisti di titoli giapponesi a lungo termine”.