L’entità dell’evasione fiscale e dell’erosione della base imponibile a fronte del trasferimento degli utili in giurisdizioni off-shore assorbe fino al 10 % del gettito fiscale derivante dal reddito delle società a livello globale
Ad avviso del Parlamento europeo è arrivato il momento di approfondire il dialogo tra gli Stati membri in ambito fiscale e, dunque, di rafforzare la cooperazione sulle politiche idonee a ridurre i fenomeni di evasione
La risoluzione, che ha raccolto 506 voti favorevoli (81 contrari e 99 astenuti), invita a rivedere, nel senso di intensificare, i programmi di contrasto contro le pratiche fiscali abusive che incidono sulle entrate sostanziali e sul gettito raccolto da parte degli Stati e, conseguentemente, sulla capacità di questi ultimi di redistribuire ricchezza; aumentare i servizi pubblici; stringere rapporti di fiducia con i contribuenti.
Nel contesto dell’economia sociale di mercato dell’Ue è necessario introdurre livelli di imposizione adeguati, allineare le competenze domestiche in materia tributaria dei singoli Stati con il diritto dell’Unione, e attuare legislazioni fiscali interne chiare, che aiutino a creare occupazione, aumentare la competitività (positiva) delle imprese che operano nei territori dell’Unione e che, infine, permettano di combattere l’evasione fiscale e l’elusione fiscale.
A tal proposito, si deve partire dalla riforma del Codice di condotta dell’Ue sulla tassazione delle imprese per arginare quel fenomeno denominato race to the bottom (corsa al ribasso). Più nel dettaglio, si tratta di introdurre delle linee guida chiare e comuni che evidenzino i perimetri all’interno dei quali, gli Stati, possono ridurre le aliquote fiscali per attrarre le imprese estere senza, per questo, generare effetti distorsivi della concorrenza.
Le modifiche che sarebbe necessario apportare al sistema dell’Ue, stando al testo della risoluzione approvata dal Parlamento, possono essere raccolte almeno in tre macro-aree.
In primo luogo, si pone la necessità di adottare una definizione comune di “livello minimo di sostanza economica“. Altrimenti detto, si tratta di individuare un criterio valido per tutti gli Stati a partire dal quale comprendere se l’attività economica esercitata da una certa impresa in un determinato territorio possa essere considerata idonea a considerarla interpenetrata nel territorio in cui opera e, conseguentemente, valutare se il trasferimento della stessa società è stato attuato al solo fine di ottenere vantaggi fiscali altrimenti non dovuti.
In seconda battuta, il Parlamento ritiene che, di concerto con la Commissione, occorrerà elaborare orientamenti comuni per strutturare i prossimi incentivi fiscali statali, per far in modo che gli strumenti adottati dai Paesi membri per attirare imprese e capitali viaggino alla stessa velocità, secondo profili di equità e trasparenza, al fine di arginare i fenomeni di distorsione del mercato unico.
Infine, occorre, avverte il Parlamento, applicare regole più severe a carico dei privati facoltosi che, mediante strategie di pianificazione fiscale aggressiva, spostandosi da una giurisdizione all’altra in ragione dei regimi preferenziali di imposta più favorevoli per il reddito personale, sottraggono a tassazione ingenti capitali.
Ebbene, guardando da una prospettiva fiscale ciò che ad oggi accade nel mondo, emergono due circostanze di non poco rilievo: da un lato, come dimostra la proposta promossa dall’Amministrazione Biden di introdurre un’aliquota minima globale sulle società, al 15%, si avverte la generalizzata esigenza di arginare i fenomeni fiscali dannosi posti in essere dalle imprese multinazionali; dall’altro, come risulta dai documenti recentemente pubblicati nell’ambito dell’inchiesta Pandora Papers, occorre arrestare i fenomeni di trasferimento di capitali in regimi off-shore da parte dei privati e dei super ricchi.
Altrimenti detto, gli Stati stanno cercando di trovare un nuovo punto di equilibrio con le imprese e con i contribuenti (più facoltosi); dunque una nuova forma di dialogo tra la ricchezza prodotta e la conseguente pretesa fiscale.
In questo senso, non può essere sottovalutata la recente decisione dell’Irlanda e dell’Estonia di aderire all’accordo globale su una corporate tax minima del 15% per le multinazionali a partire dal 2023; adeguandosi alle raccomandazioni Ocse.