L’esperienza britannica mostra come aumentare il deficit potrebbe costare la fiducia dei mercati; non mantenere le costose promesse del programma economico del centrodestra, la faccia
La buona notizia per il neo ministro Giorgetti è che l’andamento del rapporto debito/Pil sarà in miglioramento nei prossimi anni, grazie al contributo dell’inflazione
Come era ormai chiaro dalle indiscrezioni degli ultimi giorni, non sarà un tecnico a ricoprire l’incarico cruciale per la credibilità dei conti pubblici italiani, quello di ministro dell’Economia, ma il politico leghista più inserito negli ambienti internazionali: Giancarlo Giorgetti. L’annuncio è arrivato a mercati chiusi nel tardo pomeriggio di venerdì, dalla premier in pectore Giorgia Meloni.
L’altro dubbio fondamentale, quello intorno al ministro degli Esteri, è stato sciolto con la nomina di Antonio Tajani (Forza Italia), le cui quotazioni sembravano scese dopo la diffusione degli audio nei quali Silvio Berlusconi avallava le tesi russe sulla genesi della guerra in Ucraina (in aperto contrasto con le posizioni atlantiste del governo e di Fi).
Rispetto al massimo post-elezioni a quota 255, lo spread Btp-bund si trovava in calo a 233 punti base nella chiusura di venerdì, prima dell’accettazione dell’incarico da parte di Giorgia Meloni. Nel frattempo, il rendimento del Btp decennale si è mantenuto sostanzialmente stabile nelle settimane successive alle elezioni del 25 settembre, al 4,778% (era intorno al 4,3% prima del voto alle politiche).
Con un politico a Via XX Settembre piena proprietà delle scelte economiche
L’incarico a Giorgetti per l’economia eviterà ogni possibile conflitto fra un ministro tecnico e la guida politica: in vista di scarsi margini di manovra per la finanza pubblica, sarebbe stato probabilmente disagevole per un tecnico prestarsi a realizzare alcune misure delle poco ortodosse promesse dal centrodestra come la flat tax “incrementale” (che cos’è).
Anche l’impegno a non aumentare i prelievi fiscali di natura patrimoniale, scritto a chiare lettere nell’accordo quadro per un governo di centrodestra, contrasta i suggerimenti arrivati, negli anni, dalle istituzioni economiche internazionali come l’Ocse. Secondo i retroscena, si sarebbe arrivati alla nomina di Giorgetti, già ministro dello Sviluppo economico del governo Draghi, dopo una sequela di “no grazie” arrivati da tecnici di alto prestigio come Fabio Panetta (Bce), Dario Scannapieco (Cdp) e Domenico Siniscalco (Morgan Stanley).
Trovare un tecnico “di area”, ossia ideologicamente vicino al governo, che fosse disposto a coniugare la gestione di queste emergenze con l’impegno di realizzare il costoso programma di centrodestra, è stato più complicato del previsto. Dovendo scegliere una figura sufficientemente nota agli investitori e di fama moderata, la scelta è ricaduta su Giorgetti. La presenza di un politico imporrà all’esecutivo una piena proprietà delle scelte, diversamente a quanto era avvenuto negli apparenti contrasti fra Padoan e Renzi alcuni anni fa o Tria e Salvini-Di Maio nell’era del più recente governo gialloverde.
Le sfide che attendono Giorgetti e il percorso dei Btp
Le sfide che il ministero dell’Economia dovrà affrontare, in primis l’arrivo di una recessione e la necessità di garantire un adeguato supporto a famiglie e imprese colpite dal caro energia, saranno numerose. Secondo quanto dichiarato venerdì al Corriere dal ministro dell’Economia uscente Daniele Franco, Giorgetti “sarebbe adattissimo” a prendere il suo ruolo e “farà certamente bene”.
La reazione piuttosto sobria dei mercati in seguito alla vittoria elettorale della Meloni non dovrebbe essere turbata dalla figura di Giorgetti in sé, anche se vari gestori hanno messo in luce come il mantenimento degli impegni sul Pnrr, che Meloni aveva dichiarato di voler rinegoziare nelle sedi previste, sarebbe stato un test importante per la fiducia. Ma lo sarà anche il mantenimento di una politica di bilancio di segno prudente. Lo stesso ministro Franco ha suggerito come ad essere osservate saranno le ragioni del disavanzo, citando la recente esperienza del Regno Unito, i cui titoli di stato hanno perso attrattiva perché era stato annunciato un taglio di tasse in un contesto di inflazione crescente.
Un’altra delle sfide che dovrà affrontare il governo saranno le nuove regole fiscali del Patto di Stabilità, che attende una riforma prima del suo ritorno in vigore nel 2024. L’aspettativa, alla luce dell’incremento del debito pubblico in numerosi Paesi europei, è che si tornerà a vigilare sui livelli di deficit in modo da riportare la traiettoria della spesa pubblica in una direzione più restrittiva – anche a prezzo di ridurre un po’ la crescita a breve termine. Sarà dunque un politico e non un tecnico ad assumersi l’onere di abbandonare le politiche di sostegno che hanno caratterizzato la fase pandemica e, in modo diverso, anche la crisi energetica.
La buona notizia per il neo ministro Giorgetti è che l’andamento del rapporto debito/Pil sarà in miglioramento nei prossimi anni, grazie al contributo dell’inflazione. Anche se i rendimenti dei titoli di Stato aumentano, infatti, la crescita nominale (che include gli aumenti dei prezzi, l’inflazione) salirà in modo ancor più sostenuto e, di conseguenza, anche le entrate fiscali. Secondo la Nota di aggiornamento al Def pubblicata il 28 settembre “il rapporto debito/Pil è infatti previsto scendere dal 150,3% per cento nel 2021 al 145,4 per cento nel 2022 (147,0% nel Def).