Amundi e Create Research hanno pubblicato un nuovo studio sulla sostenibilità dei piani pensionistici europei a prestazione definita
Per la maggior parte dei piani pensionistici, poiché le loro passività giungono a scadenza rapidamente, l’opzione preferita di intervento di un assicuratore esterno rimane fuori dalla loro portata
Piani pensionistici alle strette
Allo stato attuale, i piani pensionistici sono costretti a ricorrere a due opzioni. La prima è la liquidazione (cd. run-off): avere riserve finanziarie certe in grado di pagare le pensioni fino a quando l’ultimo iscritto lascerà il fondo (opzione scelta dal 41%). La seconda opzione è l’autosufficienza (30% degli intervistati): in tal caso il piano pensionistico dispone di una posizione di finanziamento e non dovrebbe ricorrere all’impresa sponsor per ottenere contributi supplementari ed è dunque in grado di generare in autonomia il flusso di cassa necessario per pagare i beneficiari. In queste due opzioni il piano pensionistico fa affidamento sul suo bilancio per far fronte ai suoi impegni, senza affidarsi allo sponsor per continuare a sostenere tutti i rischi pensionistici. Solo il 38% dei piani dispone dei finanziamenti necessari per farlo.
I tassi a zero hanno messo a repentaglio le due soluzioni assicurative privilegiate dai fondi pensione, largamente considerate come la soluzione ideale per ridurre i rischi legati alla gestione della loro solvibilità fino all’estinzione dei loro impegni. Queste soluzioni prevedono il trasferimento, parziale o totale, a un assicuratore esterno degli impegni pensionistici. Solo il 25% degli intervistati è in grado di perseguire queste opzioni.
Nuova asset allocation
Mentre le soluzioni assicurative non sono più praticabili, i piani pensionistici sono obbligati ad adottare un approccio più innovativo per l’asset allocation e a trovare un equilibrio tra tre obiettivi contrastanti: incrementare i rendimenti per migliorare il coefficiente di finanziamento, ridurre il rischio rispetto alle passività e aumentare i flussi di cassa man mano che un numero crescente di iscritti va in pensione. Ciò significa suddividere i portafogli in tre categorie: attivi per la ricerca di rendimento, attivi di copertura del rischio e attivi “cross-asset”.
Gli attivi per la ricerca di rendimento sono tipicamente rappresentati dalle azioni. Tra queste spiccano le azioni globali (citate dal 63% degli intervistati), le azioni dei mercati emergenti (57%) e le azioni europee (43%). Per quanto riguarda gli attivi di copertura, ancora una volta, il reddito fisso europeo e quello dei mercati emergenti sono privilegiati rispetto a quello statunitense, considerato troppo costoso.
Gli attivi “cross-asset” stanno diventando sempre più importanti. Con rendimenti simili a quelli delle azioni e caratteristiche comparabili alle obbligazioni, mirano a realizzare una crescita del capitale per mitigare i disavanzi del piano, a generare un reddito regolare per il pagamento delle pensioni e a fornire una protezione dall’inflazione per finanziare la rivalutazione delle prestazioni. Le asset class preferite includono infrastrutture (59%), real estate (56%) e private equity (48%).
Nuovi criteri di gestione
Poiché l’asset allocation dei fondi pensione che consenta loro di gestire la solvibilità fino all’estinzione delle passività (End game) è diventata più complessa, i criteri di selezione dei gestori esterni sono diventati più articolati e si suddividono in tre categorie.
La prima categoria si concentra su esg e una più ampia competenza tematica. Gli intervistati citano la capacità di integrazione dei criteri esg (76%) e l’investimento tematico in generale (50%) come fondamentali per l’assegnazione di nuovi mandati.
La seconda categoria è incentrata sulla generazione di liquidità necessaria all'”End game” (63%), e su una conoscenza approfondita dell’investimento orientato al passivo (ALM) e della gestione del bilancio di un fondo pensione (52%).
L’ultima categoria cerca di evolvere in un contesto in cui le valutazioni delle attività sono ai massimi storici e la liquidità può scomparire. Ciò richiede una conoscenza approfondita della gestione della liquidità in un periodo di elevata volatilità, secondo il 49% degli intervistati; una comprensione dei motori di performance a fronte di mercati distorti dall’azione delle banche centrali (49%) e un vantaggio nell’asset allocation tattica in risposta alle correlazioni tra classi di attività nel tempo (44 %).