33 piani previdenziali su 88 non applicano strategie d’investimento sostenibile. Di questi, l’88% dichiara di aver avviato valutazioni in merito
Le principali opportunità riguardano la possibilità di coniugare l’impatto socio-ambientale con un congruo ritorno economico e mitigare il rischio reputazionale
Quanto a quelli che al contrario integrano i criteri esg nelle politiche d’investimento (il 62,5% del campione totale), gestiscono circa 141.325 milioni di euro, pari al 68% del patrimonio complessivo dei rispondenti. Fa da traino la possibilità di una gestione più efficace dei rischi finanziari e, ancora una volta, quella di coniugare l’impatto socio-ambientale con un congruo ritorno economico. Tra i più attenti alle tematiche sostenibili, in linea generale, emergono soprattutto i fondi pensione aperti e le casse di previdenza. Nel 42% dei casi gli investimenti si concentrano su prodotti specificatamente legati allo sviluppo di fonti rinnovabili e alla transizione energetica (specie per le casse di previdenza). Solo l’11% dei piani, invece, ha individuato uno specifico obiettivo quantitativo relativamente al disinvestimento dalle fonti fossili.
“Abbiamo chiesto ai piani indagati se ci fosse stato già un adeguamento alle normative in materia di finanza sostenibile”, racconta poi Anna Crocetti, research officer and membership management del Forum per la finanza sostenibile. “Ben 61 degli 88 piani si sono già adeguati alla Iorp II, 52 alla Shareholder rights II e 51 al Regolamento 2019/2088. E nell’88% dei casi anche le casse di previdenza si sono ispirate a queste normative per definire le proprie politiche d’investimento”. Un altro tema analizzato, aggiunge Arianna Lovera, senior programme officer del Forum, è quello del ruolo del consiglio di amministrazione. E, in particolare, quali sono le fonti informative da cui il board trae dati sugli aspetti esg (principalmente provider esterni e gestori) e quanto sono frequenti le valutazioni rispetto alla sostenibilità degli investimenti (solo un piano ha dichiarato di non ricorrere a questo tipo di esame).
“In merito al tasso di copertura ci sono infine dati incoraggianti, in quanto aumenta il numero di piani che estende le strategie sri alla quasi totalità del patrimonio in gestione”, spiega Lovera. “Il che denota una visione trasversale a tutte le asset class e non a un’unica linea o a un unico prodotto”. Quanto alle strategie sri adottate, le più diffuse sono le esclusioni (con particolare riferimento alle armi e al gioco d’azzardo) e le best-in-class, ma si evidenzia anche un incremento dell’engagement. “Guardando al futuro – conclude Lovera – ci attendiamo un ulteriore aumento delle masse gestite secondo criteri di sostenibilità, per effetto sia del contesto normativo sia del progressivo diffondersi della consapevolezza che gli investimenti sostenibili rappresentano una scelta efficace anche per la gestione dei rischi economico-finanziari”.
“Questa esperienza luttuosa, tragica, della pandemia ha acceso dei fari rispetto ad ambiti sui quali prima erano accese delle candele”, interviene Ignazio Ganga, segretario confederale della Cisl. “Ecco che una delle cose più importanti che ci insegna è che non ci si può sottrarre alla responsabilità di fare la propria parte. Ma per produrre effetti tangibili sono necessarie regole, tassonomie, strumenti che scongiurino comportamenti opportunistici”. In questo contesto, aggiunge Alessandra Diotallevi, responsabile coordinamento attività regolamentari e responsabile servizio bilanci e sostenibilità di Ania, l’attenzione nei confronti della sostenibilità deve essere inoltre portata avanti “nel senso più ampio possibile” coinvolgendo tutte le lettere dell’acronimo esg. Un approccio “olistico”, in altre parole, che passi “attraverso la governance perché è tramite la governance che la sostenibilità può essere integrata in tutti i processi aziendali”.