L’innovazione tecnologica e le possibilità di riproduzione digitale ha fatto emergere un interessante punto di attenzione sull’uso delle immagini del patrimonio culturale, la cui disciplina appare sempre più inadeguata e anacronstica, laddove prevede canoni concessori rispetto a usi “non rivali” e a forme di fruizione allargata. Ciò in un contesto digitale e internazionale dove le restrizioni economiche (il canone), giuridiche (l’autorizzazione) e culturali (il decoro) rischiano di mortificare le potenzialità dello Stato italiano, anche in termini di concorrenza tra Stati e considerati i riflessi economici sul comparto delle industrie culturali e creative italiane.
Quanto costa riprodurre le immagini dei beni culturali?
La scorsa primavera, proprio su queste pagine, trattavamo il tema della riproduzione dell’immagine dei beni culturali italiani dopo che il Ministero della Cultura aveva emanato il D.M. n. 161 del 11 aprile 2023, contenente le “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali” (“Linee Guida”).
Solo per rinfrescare la memoria, ricordiamo che tale testo normativo veniva introdotto in un contesto legislativo – quello italiano – complesso e unico nel suo genere, che prevede, accanto alle norme di carattere generale, una normativa di carattere speciale finalizzata alla tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali: il Codice dei Beni Culturali e del Pesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). Pur trattandosi di una normativa relativamente recente e che nel corso degli ultimi vent’anni è stata più volte modificata, il Codice dei Beni Culturali è un testo che non tiene in considerazione l’attuale contesto digitale. La gestione dell’immagine dei beni culturali del nostro patrimonio è, infatti, ancora equiparata a livello normativo alla gestione dei beni culturali fisicamente intesi e la relativa disciplina è demandata agli articoli 107 e 108 del Codice dei Beni Culturali, che prevedono che tutti coloro che intendono utilizzare e/o riprodurre un bene devono preventivamente chiedere un’apposita autorizzazione all’autorità che ha in consegna il bene culturale e pagare il corrispettivo determinato da quest’ultima (fatte salve alcune eccezioni, per finalità senza scopo di lucro, che sono liberi o comunque esentati dal pagamento di un canone). Ciò corrisponde a un approccio proprietario-dominicale dello Stato che finisce per godere – per di più su una proprietà di natura pubblica – di un diritto illimitato, a tempo indeterminato, che può esercitare con discrezionalità nel decidere se concedere l’uso delle immagini del bene culturale (o non concederlo) per scopi “commerciali”, fissandone il relativo corrispettivo. E tutto ciò anche quando trattasi di beni immateriali – come le immagini, i dati, i metadati – per i quali non sussiste una fisicità che possa compromettere il bene e che sono, per loro natura, “non rivali” (beni comuni o commons, invero) dal momento che il loro godimento da parte di un soggetto non compromette il godimento da parte di altro soggetto. Così inteso invece lo Stato vanta un diritto dominicale ben più invadente di un normale diritto di privativa (diritto d’autore o copyright) la cui ratio, proprio all’opposto, è quella di remunerare per un tempo determinato (70 anni dalla morte dell’autore) la creatività e la paternità, per poi consentirne un libero e diffuso sfruttamento economico da parte della collettività.
Le Linee Guida, richiamando proprio i menzionati artt. 107-108 del Codice dei Beni Culturali, introducevano nel nostro ordinamento non solo una sorta di “tariffario obbligatorio” contenente gli importi minimi che tutti gli interessati devono necessariamente versare qualora intendano utilizzare le immagini dei beni culturali italiani per “fini di lucro”, ma altresì elevavano lo Stato a “censore” delle riproduzioni del patrimonio culturale italiano. Veniva, infatti, formalizzato un iter tale per cui chiunque voglia utilizzare tali immagini è tenuto a sottoporre il proprio “progetto” all’ente che ha in consegna il bene culturale “prescelto”, il quale dovrà verificare se l’uso per cui viene richiesta l’autorizzazione è ritenuto compatibile “con il carattere storico-artistico” del bene culturale stesso (art. 2, comma 2, del DM n. 161/2023), di fatto finendo per essere un controllo di “decoro” della riproduzione dei beni culturali.
Le perplessità degli operatori del settore
Successivamente all’emanazione di tali Linee Guida, le scriventi, così come diversi colleghi, cultori della materia, accademici, organizzazioni (prima tra tutte si ricorda Creative Commons Italia) e professionisti del mondo dell’arte e non solo, hanno avanzato le proprie perplessità circa un testo – le Linee Guida appunto – che pareva andare in direzione opposta rispetto alla strada ormai da anni imboccata dal legislatore europeo a sostegno di una cultura Open Access finalizzata allo sfruttamento delle nuove tecnologie per facilitare l’accesso e la fruizione di dati da parte di chiunque e per qualsiasi finalità, nonché la creazione di un pubblico dominio dell’Unione Europea da cui chiunque possa attingere per creare cultura e innovazione. Non solo, le Linee Guida parevano anche contraddire il “Piano Nazionale per la Digitalizzazione dei Beni Culturali 2022-2023” (“PND”), adottato dal Governo nel giugno 2022 e aggiornato nel dicembre 2022 (c.d. “Relase v.1.1”), nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (“PNRR”). Il PND, infatti, poneva come macro obiettivi della trasformazione digitale l’ampliamento delle forme di accesso al patrimonio digitale per migliorare l’inclusione culturale, l’ampliamento delle pratiche di digitalizzazione sia dei beni culturali sia dei servizi all’utenza e il potenziamento di forme di cooperazione e di interoperabilità tra diversi istituti al fine di creare una rete condivisa caratterizzata da un inter-scambio di dati, tecnologie e saperi, così abbracciando la cultura Open Access promossa dal Legislatore Europeo.
Nonostante le numerose contestazioni ricevute, nel corso dei mesi il Ministero della Cultura si è dimostrato fermo sulle sue posizioni, ribadendo e avallando la “bontà” delle Linee Guida e sottolineando come le stesse rispondano alla “necessità di realizzare una adeguata valorizzazione economica del patrimonio culturale statale ove le fattispecie di concessione in uso e di riproduzione si realizzino a scopo di lucro, ai sensi dell’art. 108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Ma qualcosa potrebbe cambiare nel futuro prossimo.
La nuova direzione presa dalla Corte dei Conti
Sul punto è, infatti, recentemente intervenuta anche la Corte dei Conti con la relazione concernente “Gli Esiti dell’attività di controllo svolta nell’anno 2022 e le misure conseguenziali adottate dalle Amministrazioni”, Deliberazione del 20 ottobre 2023, n. 76/2023/G.
In particolare, con tale documento la Corte dei Conti ha evidenziato che “L’Open Access ha da tempo dimostrato di essere un potente moltiplicatore di ricchezza non solo per le stesse istituzioni culturali (si vedano le ben note best practices nazionali ed internazionali), ma anche in termini di incremento del PIL ed è quindi considerato un asset strategico per lo sviluppo sociale, culturale ed economico dei Paesi membri dell’Unione” e che l’adozione delle Linee Guida di cui al D.M. 161 dell’11.4.2023 appare in controtendenza con tali principi, in quanto ha introdotto “un vero e proprio “tariffario” nel campo del riuso e della riproduzione di immagini; così incidendo su temi centrali connessi allo studio ed alla valorizzazione del patrimonio culturale nazionale, nonché ad una più ampia circolazione delle conoscenze” (pag. 156).
Ancora, a pag. 157 della Deliberazione 76/2023/G, la Corte dei Conti sottolinea che “L’introduzione di un “tariffario” siffatto pare, peraltro, non tener conto né delle peculiarità operative del web, né del potenziale danno alla collettività da misurarsi anche in termini di rinunce e di occasioni perdute; ponendosi, così, in evidente contrasto anche con le chiare indicazioni che provengono dal Piano Nazionale di Digitalizzazione (PND) del patrimonio culturale. L’obiettivo da perseguire appare, ancora una volta, quello di sviluppare appieno il potenziale che la digitalizzazione del patrimonio culturale ha non solo in termini scientifici e di conoscenza, ma anche come potente fattore di crescita culturale; le cui positive ricadute, ad esempio sul piano della valorizzazione turistica dei territori, non sono che uno dei possibili ed auspicabili sviluppi”.
Si sottolinea come la recentissima Deliberazione in parola faccia seguito alla precedente (e inascoltata) Deliberazione 50/2022/G, pubblicata dal medesimo organo il 12 ottobre 2022 su “Spese per l’informatica con particolare riguardo alla digitalizzazione del patrimonio culturale italiano (2016-2020)”, in cui la Corte dei Conti già affermava che “Le forme di ritorno economico basate sulla “vendita” della singola immagine appaiono anacronistiche e largamente superate poiché, peraltro, palesemente antieconomiche. È stato dimostrato che in alcuni casi il rapporto tra i costi sostenuti per la gestione del servizio di riscossione e le entrate effettive generate è a saldo negativo” (pag. 126).
L’intervento della Corte dei Conti è chirurgico, in poche righe riesce a centrare i nodi del problema, lasciando intendere – senza molti giri di parola – che l’attuale quadro normativo italiano (artt. 107-108 del Codice dei Beni Culturali), appesantito dalle recenti Linee Guida (DM n. 161/2023), non solo si pone in contrasto con la normativa europea di riferimento e risulta inadeguato al contesto digitale in cui viviamo, ma rischia di limitare fortemente le possibilità di valorizzazione del nostro patrimonio culturale, che potrebbero trarre beneficio da un approccio culturale e legislativo maggiormente aperto.
Tali dichiarazioni, peraltro, sono particolarmente significative perché provenienti proprio da quell’organo di rilievo costituzionale che ha funzioni di “controllo sulla gestione finanziaria degli enti” (art. 100 Cost.), essendo la “lesione delle casse dello Stato” (c.d. danno erariale) una delle prime argomentazioni da sempre addotte dai sostenitori dell’attuale sistema di autorizzazioni/pagamento canoni, che ritengono che una “liberalizzazione” delle immagini del patrimonio culturale italiano oltre a sminuire il decoro di quest’ultimo, porterebbe ad un impoverimento delle casse dello Stato. Ciò, sebbene siano diversi gli studi (prevalentemente di matrice internazionale) che evidenziano l’inefficienza dei tradizionali sistemi che adottano un approccio chiuso e tradizionalista alla licenza delle immagini appartenenti a luoghi della cultura, ove i costi della struttura e delle risorse (umane e tecnologiche) necessarie per il funzionamento di un tale sistema, generalmente sono maggiori o pari rispetto ai ricavi conseguiti.
Verso l’open access delle immagini dei beni culturali?
In ogni caso, dopo un monito di questo tipo da parte della Corte dei Conti, difficilmente il Ministero della Cultura potrà rimanere sordo alle richieste di intervento su una norma ritenuta anacronistica e cieco alle mutate esigenze della società.
È giunto il momento che il legislatore e il settore della museologia italiana abbraccino il cambiamento anziché ostacolarlo, sfruttando le potenzialità che la tecnologia odierna offre per la valorizzazione e larga diffusione del patrimonio culturale italiano, da cui non si dubita potranno nascere nuove sinergie in grado di arricchire, in ogni forma, la collettività e sopperire alle eventuali (se esistenti) perdite cui lo Stato dovesse andare incontro a causa dell’eliminazione del menzionato tariffario.
Si tratta di un progetto politico e culturale, prima ancora che tecnico, economico o giuridico, finalizzato alla liberalizzazione e alla più ampia circolazione e riutilizzazione di dati, metadati, contenuti, materiali e immagini che – poiché caduti in pubblico dominio o non avendo mai conosciuto forme di privativa – dovrebbero appartenere alla collettività. È un progetto che richiede un lavoro di coordinamento dei diversi settori coinvolti (culturali, amministrativi, manageriali e tecnologici) e di ripensamento del rapporto che si vuole instaurare tra il pubblico, il patrimonio culturale e le istituzioni di tutela di tale patrimonio.
LE OPPORTUNITÀ PER TE.
A quali ambiti si applica l’attuale tariffazione per l’utilizzo di immagini di beni culturali?
Vale anche per i monumenti più famosi?
Gli advisor selezionati da We Wealth possono aiutarti a trovare le risposte che cerchi.
TROVA IL TUO ADVISOR
In copertina: Michelangelo Buonarroti, Tondo Doni (1505-1507). Galleria degli Uffizi, Firenze.