Per la Suprema Corte di Cassazione (Ordinanza n. 6874 dell’8 marzo 2023) colui che abitualmente compra e vende opere d’arte produce a tutti gli effetti un reddito d’impresa e, di conseguenza, deve pagarci le tasse. Facciamo un po’ di chiarezza: per cogliere appieno la portata della pronuncia della Suprema Corte, è doverosa una distinzione, quella tra “semplice collezionista” e “mercante di opere d’arte”. Mentre il primo è colui che acquista le opere per scopo culturale, per incrementare la propria collezione o semplicemente perché quell’opera gli piace e, per tali ragioni, le sue operazioni non sono soggetto ad alcuna imposizione fiscale, il mercante d’arte è colui che acquista e rivende non col fine di arricchire la propria collezione ma con quello di arricchire il proprio portafoglio e, per tale ragione, il reddito che lui produce va qualificato come reddito d’impresa e conseguente tassato.
Mercate d’arte o mero collezionista? Il caso
La vicenda nasce da un atto di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un signore che comprava e vendeva quadri: per il Fisco, la sua attività era vera e propria attività imprenditoriale mossa da finalità di lucro e non da finalità culturale. Il malcapitato sosteneva il contrario e, poiché l’Agenzia delle Entrate non accoglieva le sue doglianze, proponeva ricorso. I giudici di primo grado però davano ragione all’Agenzia; si andava quindi in appello e anche qui il cittadino risultava soccombente. Troppi erano gli acquisti, alcuni dei quali anche di elevati, fatti dall’interessato che, per di più, aveva rilasciato interviste, aveva partecipato a incontri, mostre e presentazioni qualificandosi come mercante d’arte, per escludere, a detta dei giudici, che si trattasse di un mero collezionista.
Dopo i primi due gradi di giudizio, la causa giungeva in Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla qualificazione dell’attività del ricorrente: se fosse da inquadrare in quella di mercante d’arte, e quindi di imprenditore, o se rientrasse invece in quella di collezionista, cioè di privato che occasionalmente compra e vende opere d’arte.
Ebbene, alla fine del giudizio, anche la Corte di Cassazione ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate e torto al contribuente, ritenendo che l’attività da questi svolta fosse una vera attività d’impresa: vi era infatti una, seppur embrionale, organizzazione aziendale con tanto di attività promozionale e soprattutto, vi era un numero elevato di transazioni. Nel caso in esame la questione appariva abbastanza chiara – vi erano una serie di elementi a suo carico quali il valore delle opere, la cadenza regolare delle transazioni, nonché l’esposizione mediatica del soggetto – ma va detto che il numero delle transazioni (da solo) non è determinante per qualificare un’attività come imprenditoriale, così come non lo è (da solo) l’importo di quelle transazioni.
Il Fisco italiano infatti non fornisce una discrimine chiara tra le due categorie, con la conseguenza che molto spesso appare difficile distinguere il mercante di opere d’arte, che dall’acquisto e della rivendita si vuole arricchire, dal collezionista che invece, compra per il piacete di possedere l’opera: il primo su quegli acquisti deve pagare IRPEF e IVA mentre il secondo nulla deve al Fisco.
Né mercante né collezionista: le linee guida in giurisprudenza
E quelle persone che invece non appartengono a nessuna delle due categorie? Quelle persone cioè che non sono dei mercanti d’arte che comprano e vendono col solo fine speculativo ma che, al contempo, non sono dei meri collezionisti perché, seppur mossi dal piacere di possedere un’opera d’arte, quando fanno un acquisto badano anche (ma non solo) all’aspetto economico, magari cercando un’artista le cui quotazioni sono destinate a salire?
Ebbene per questi soggetti, che in realtà rappresentano la categoria più numerosa, quella quindi che coinvolge il maggior numero di persone, non vi sono dei criteri netti per farli rientrare in una delle due tipologie sopra delineate e quindi per considerare le loro operazioni soggetti a tassazione o esenti. La giurisprudenza ha provato a dettare delle linee guida: si è detto che si deve guardare al numero delle transazioni (che però non è sempre determinante perché si possono acquistare e vendere mole opere senza guadagnare alcunché mentre si può fare una sola operazione che può rivelarsi molto redditizia) oppure al tempo che intercorre tra l’acquisto e la rivendita (criterio però molto poco chiaro perché non vi è una regola che possa definire dopo quanto tempo si è esente da controlli fiscali). Si è allora detto che rileva il tipo di lavoro che svolge l’autore delle operazioni (perché sarà ovviamente visto in maniera diversa l’acquisto dell’art consultant da quello di chi, ad esempio, lavora nel campo della ristorazione) oppure che si deve guardare alla sistematicità delle operazioni o ancora al canale scelto per la rivendita (perché vendere un’opera ad un amico è sicuramente diverso dal venderla su un sito d’aste on line).
Per chiudere, e questo è l’unico suggerimento che possiamo dare, dobbiamo dire che una vera regola non c’è perché, tranne i casi “estremi” del collezionista puro e del mercante d’arte, tutte le altre sono situazioni da definire con riferimento al caso concreto. Senza smettere di ricordare che, per il Fisco italiano, le opere d’arte sono particolarmente “interessanti” e che un’operazione fatta con poca accortezza potrebbe dare il via a controlli non solo su quella stessa operazione, ma anche sull’intera attività imprenditoriale o professionale del soggetto che quell’operazione ha compiuto.