Sono (quasi) tutti d’accordo: i servizi dedicati all’arte e ai beni da collezione devono rientrare nella proposta wealth delle istituzioni finanziarie. Lo afferma il 90% degli intervistati (435 professionisti tra banche private, family office, collezionisti e operatori del mondo dell’arte) nell’ultimo Art & Finance Report di Deloitte Private e ArtTactic, presentato lo scorso 21 novembre da Deloitte Luxembourg. Quella registrata dal barometro dell’arte e finanza, giunto alla sua ottava edizione, è una percentuale in crescita dall’ultima rilevazione del 2021 (80%) e la più alta da quando la società ha dato inizio alla serie degli Art & Finance Report, nel 2011 (65%). Nel corso degli anni, infatti, gli esperti hanno osservato “un consolidamento delle diverse motivazioni circa l’inclusione e lo sviluppo di servizi di art wealth management da parte degli stakeholder coinvolti”, dal momento che sia la domanda da parte della clientela che la sensibilità dei professionisti circa la bontà di un wealth management ‘olistico’ e goal-oriented sono aumentate. Un tema tuttavia già sollevato dall’Art & Finance Report del 2021, quando l’interrogazione circa il ‘se’ integrare servizi dedicati all’arte e ai beni da collezione aveva lasciato posto a un più pratico ‘come’. D’altronde, più della metà (63%) dei wealth manager ha affermato di aver integrato l’arte nella propria offerta nel 2022 (dal 67% di quelli operanti all’interno delle banche private al 60% dei family office). Le modalità? Oltre a gestire e preservare la ricchezza legata all’arte e ai beni da collezione, è in aumento l’appetito nei confronti dei servizi di investimento legati a questi asset, con il 22% dei family office interessato a strumenti come i fondi d’arte, gli investimenti a impatto culturale e gli investimenti frazionati. Un approccio più proattivo ai nuovi modelli d’investimento in arte rispetto alle banche private (con il 14% del campione a favore).
Il valore economico supera quello sociale per i collezionisti
A mettere d’accordo i partecipanti all’indagine di Deloitte e ArtTactic è la crescente consapevolezza circa le implicazioni finanziarie del possesso di un’opera d’arte. Pur non rappresentando il principale motore d’acquisto (in testa alla classifica è sempre il valore emozionale, primario per il 60% dei collezionisti), nelle ultime rilevazioni di Deloitte e ArtTactic il valore economico ha infatti per la prima volta scavalcato il valore sociale (rispettivamente importanti per il 41% e il 36% dei collezionisti). “Vi è una maggiore attenzione alle considerazioni economiche nella compravendita di opere d’arte, per cui si guarda a questo asset da una prospettiva che ha al suo centro la diversificazione del portafoglio, la protezione dall’inflazione e il ritorno dell’investimento” spiegano da Deloitte. “Una dinamica simile la stanno sperimentando i beni di lusso (orologi, gioielli, auto d’epoca e contemporanee, design, borse ecc.), capaci di sbiadire i confini tra arte, beni da collezione e asset di pregio”. Questa ‘nuova’ tipologia di pleasure asset ha infatti superato la performance dell’arte dal 2008 a oggi; nel 2022 ha totalizzato 353 milioni di dollari nelle vendite in asta, mentre l’arte si è assestata al ‘modesto’ risultato di 68 milioni. Gli operatori più tradizionali del mercato dell’arte dovranno quindi stare al passo con una competizione crescente da parte di altri nuovi attori attivi in questi settori, pena il mancato coinvolgimento delle generazioni più giovani e la potenziale perdita di rilevanza nel prossimo passaggio di ricchezza.
La ricchezza uhnwi allocata all’arte e la bassa pianificazione successoria
Quello allocato all’arte e ai beni da collezione è infatti un patrimonio troppo considerevole per non essere gestito attentamente in fase di pianificazione successoria. Deloitte e ArtTactic riportano che al 2022 la ricchezza globale allocata all’arte e ai beni da collezione degli ultra high-net-worth individuals (uhnwi) era pari a 2,174mila miliardi di dollari, in crescita stimata a 2,861mila miliardi entro il 2026 grazie all’aumento del numero di uhnwi nel mondo e alla crescente esposizione del loro patrimonio ai pleasure asset. Sempre allo scorso anno, infatti, i wealth manager intervistati hanno riportato che a questi beni è allocato in media il 10,9% della ricchezza totale dei propri clienti (6,8% per le banche private, 13,4% per i family office). Ulteriore prova della centralità dell’arte e dei beni da collezione in fase di passaggio generazionale sono i dati relativi alle aste di singole collezioni nel 2022. Lo scorso anno, infatti, i proventi derivanti dalle single-owner collections sono aumentati del 64% rispetto al 2021. E per il 2023? Le collezioni private importanti all’incanto, che sono state poche nel primo semestre dell’anno, hanno trionfato nelle aste autunnali (vedasi la raccolta di Emily Fisher Landau in asta da Sotheby’s New York lo scorso 8-9 novembre, che con 424,7 milioni di dollari rappresenta il record mai raggiunto in asta per una collezionista donna). Tuttavia, Deloitte e ArtTactic sottolineano che solo il 24% dei collezionisti ha attualmente in atto una strategia di lungo termine per la successione di opere e dei beni di lusso, sottolineando l’urgenza di questo tipo di conversazioni tra i wealth manager e i loro clienti, che dovranno assicurarsi che le collezioni siano catalogate e gestite propriamente, e discutere circa l’intento filantropico e la pianificazione fiscale.
Il mercato dell’arte dovrà modernizzarsi per la sinergia arte-finanza
Affinché la tanto auspicata sinergia tra arte e finanza funzioni, tuttavia, alcuni ostacoli dovranno essere superati. In primis, il mercato dell’arte e dei beni da collezione dovrà fare attenzione a modernizzarsi, specie per quanto riguarda le proprie modalità operative (sono d’accordo il 76% dei wealth manager, l’82% dei professionisti e il 70% dei collezionisti). Per gli intervistati, infatti, trasparenza e regolamentazioni interne non stanno venendo sviluppate abbastanza in fretta, nonostante l’aumento delle tecnologie sviluppate per i pleasure asset, dei dati a disposizione e delle normative antiriciclaggio. Tra le sfide principali, inoltre, lo studio evidenzia le problematiche relative all’autenticità dei beni immessi nel mercato, la mancanza di informazioni relative alla loro provenienza, il rischio di contraffazione ed erronea attribuzione (centrali per l’80% dei wealth manager) e la mancanza di standard internazionali circa le qualifiche richieste ai professionisti del settore (importante per il 63% dei wealth manger).
Qualche provocazione: come auspicare un mercato dell’arte più inclusivo?
A chiudere il report, Deloitte e ArtTactic lanciano al mondo dell’arte e della finanza alcune provocazioni. Dalle analisi emerge infatti che appena l’1,1% degli artisti controlla più di tre quarti (76%) del fatturato delle aste, coinvolgendo un numero limitato di collezionisti e operatori del settore come mercanti e gallerie. Secondo la società potrebbe essere proprio questa una delle principali ragioni dietro la crescita poco brillante del mercato dell’arte nell’ultimo decennio. Per The Art Basel and UBS Art Market Report, infatti, negli ultimi 14-15 anni questo ha sperimentato un andamento laterale, mentre i prezzi delle vendite all’incanto hanno raggiunto cifre da record. “È evidente che il mercato dell’arte si stia orientando sempre più verso un piccolo numero di artisti e correnti, che come conseguenza ha generato un interesse crescente nei confronti delle caratteristiche finanziarie e di investimento dell’acquisto di opere d’arte” spiegano da Deloitte. “La concentrazione attorno a un piccolo bacino di artisti è inoltre specchio dell’industria dell’arte e della finanza, dove certi prodotti e servizi (tra cui i prodotti di investimento in arte e l’art lending) hanno come mira proprio questo gruppo di artisti, per cui la trasparenza dei prezzi e la liquidità sono maggiori. Il rischio sottostante è che questi servizi influenzino non solo ciò che accade nella fascia più alta del mercato, ma che possano anche contribuire e potenzialmente alimentare ulteriori iniquità nel mercato dell’arte generale, piuttosto che supportare un’agenda inclusiva o più diversità nella crescita”. Resta tuttavia da capire se un mercato dell’arte più equo (e in crescita) sia davvero desiderabile. La speranza della società è che il cambiamento nel comportamento degli investitori ‘tradizionali’, che stanno via via preferendo strategie sostenibili, possa avvenire anche in quello degli investitori, con l’inclusione di considerazioni circa l’impatto sociale e filantropico dei propri acquisti in arte e beni di lusso.
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In copertina: Andy Warhol, Dollar sign (1982).