Il contratto che lega il consulente all’intermediario è, in via più diffusa, di agenzia, incentrato cioè sulla promozione di beni e servizi a fronte del riconoscimento di una provvigione: è un contratto di agenzia in via unanime addirittura qualificato come agenzia di commercio, il tutto riconosciuto dalla giurisprudenza che ha riconosciuto l’assoggettamento del consulente al regime previdenziale complementare obbligatorio Enasarco, proprio per l’appunto degli agenti di commercio.
Secondo tale (stupefacente, se non addirittura surreale) ricostruzione, l’attività consulenziale non entra nella causa del contratto, ma ha altra natura, complementare se non addirittura accessoria.
L’altra figura contrattuale utilizzata in via diffusa, anche se meno di quella precedente, è il lavoro dipendente, in cui l’aspetto consulenziale sembra quanto meno compresso dal rapporto gerarchico.
La terza figura, quella del mandato, è similare all’agenzia, differenziandosi da questa in quanto priva della natura continuativa e invece saltuaria.
Ma non solo: la consulenza autonoma, remunerata per l’appunto in via autonoma, costituisce, da un punto di vista strettamente quantitativo, una componente minoritaria dell’attività e della remunerazione. Inoltre: lo svincolare l’attività promozionale dalla preferenza per i prodotti e per i servizi dalle commissioni più alte si è rivelato illusorio.
In definitiva, la consulenza è un’incognita: ma sia ben chiaro che ciò è dovuto esclusivamente solo a resistenze ingiustificate alla sua applicazione. Essa è infatti ben chiara e univoca: è l’ordinamento che non la ha recepita fino in fondo e si è fermato a metà del guado.
Il contratto di agenzia è prodromico a un contratto professionale di natura intellettuale: il rapporto tra i due contratti è non tanto di accessorietà dell’uno all’altro e nemmeno di complementarietà, quanto piuttosto di stretta e indefettibile compenetrazione, in modo da arrivare alla configurazione così di un contratto unico complesso. La consulenza non è più un orpello dell’attività promozionale ma si unisce a questa in un nuovo contratto unitario, dove la promozione di prodotti e di servizi è finalizzata a un servizio complessivo di soddisfazione delle esigenze del cliente al meglio delle possibilità offerte dal mercato finanziario e dagli strumenti ivi presenti, previa enucleazione del profilo di rischio del cliente stesso e in modo da rendere la finanza di questi un’attività sofisticata come la tesoreria di un’impresa. Si rende l’attività di investimento del cliente quale propria di un “homo oeconomicus”.
In secondo luogo, il patto di non concorrenza è nullo in quanto la prestazione professionale intellettuale è indefettibilmente inerente alla personalità dell’autore (art. 2232 c.c.).
In terzo luogo, i dati relativi ai clienti costituiscono sì un segreto aziendale dall’Intermediario, ma non precluso al consulente in quanto così disciplinato dal regolamento Consob n. 16190/2018 (art. 160, 1° comma, 180, comma 3°, n. 5, art. 158, comma 2°): ebbene, tale mancata preclusione comporta che l’azienda dell’intermediario non conferisce a questi il controllo assoluto proprio sui clienti. L’azienda è pertanto circoscritta alla componente progettuale, industriale e anche organizzativa, nonché a qualsivoglia profilo strumentale allo scambio, ma non investe quest’ultimo.
È un’azienda industriale e produttiva, mentre l’attività commerciale – tranne ovviamente il “marketing” rientrante nell’ambito progettuale – è cogestita insieme ai consulenti, i quali sono gli unici che intrattengono il rapporto con i clienti, in piena autonomia in attuazione delle direttive solo industriali.
In tale ottica, la cui adozione scongiura gli effetti negativi paradossali citati all’avvio di queste note, può apparire – “prima facie” almeno – ben comprensibile che gli intermediari siano restii a riconoscere la figura del consulente, il che metterebbe a repentaglio la propria azienda.
Ebbene, è da replicare che tale riconoscimento è inevitabile e inarrestabile.
Ma il punto vero è un altro: proprio perché la componente industriale è di spettanza esclusiva dell’intermediario, è ovvio che una maggiore sofisticazione della stessa, ora invece solo meramente standardizzata, sarebbe ben tutelabile nei confronti del consulente, in quanto estranea alla professionalità intellettuale di quest’ultimo: la professionalità intellettuale è di sua esclusiva spettanza, e solo questa. La tutela è suscettibile di essere realizzata, a questo punto, ma solo in tale ottica, sia con un patto di non concorrenza, sia come segreto aziendale.
Il riconoscimento completo dello statuto del consulente non invade lo statuto dell’intermediario.
Entrambi vengono all’esatto contrario valorizzati al massimo, e tutelati ciascuno nel suo cuore essenziale e indefettibile, in modo da realizzare nella finanza dei clienti quella razionalità propria dell’ “homo oeconomicus”, da tempo – occorre riconoscerlo con grande sincerità – svanita e addirittura sfumata, ammesso che sia almeno una volta esistita.