In una proposta, avanzata dalla Commissione europea, c’è il seme di una possibile rivoluzione nelle modalità con le quali il settore finanziario propone i fondi d’investimento e paga chi lo fa
Il parlamento europeo, a livello di Commissione agli affari economici, inizierà a discutere l’abolizione delle retrocessioni il 17 novembre
L’introduzione di questo divieto stravolgerebbe modelli i di business consolidati per la consulenza dei grandi gruppi bancari ovunque in Europa
La partita europea sull’abolizione delle retrocessioni nella consulenza finanziaria entra nel vivo: giovedì 17 novembre, alle ore 9, la Commissione parlamentare per gli Affari economici e monetari Ue inizierà i lavori sugli emendamenti alla Midid II e alla Mifir (qui la diretta). All’interno di questa proposta, avanzata dalla Commissione europea, c’è il seme di una possibile rivoluzione nelle modalità con le quali il settore finanziario propone i fondi d’investimento e paga chi lo fa. Se le proposte dell’esecutivo europeo diventassero legge, ai consulenti non sarebbe più possibile accettare o sollecitare pagamenti per gli ordini che riceveno dai clienti e che trasmettono, come già avviene in Olanda.
Nello specifico, verrebbe introdotto un nuovo articolo 39a alla Mifir che “proibirebbe agli internalizzatori sistematici di richiedere qualsiasi compenso o commissione o beneficio non monetario a terzi per l’inoltro degli ordini dei clienti a tali terzi per la loro esecuzione (pagamento per il flusso di ordini)”.
Questo cambiamento, si prevede, migliorerebbe la trasparenza e ridurrebbe i costi a carico dell’investitore finale che, indirettamente, contribuisce a pagare questo schema di incentivi sotto forma di costi più elevati sui suoi investimenti (con effetti significativi sulle performance).
Anche se per i non addetti ai lavori potrà sembrare un’evoluzione tutto sommato poco rilevante, l’introduzione di questo divieto stravolgerebbe modelli i di business consolidati per la consulenza dei grandi gruppi bancari ovunque in Europa. Nonostante la grandezza degli interessi in gioco, la Commissione europea ha messo nelle mani dell’Europarlamento una proposta che, nel nome della trasparenza e del miglior interesse dell’investitore finale, punta a rimuovere alla radice gli incentivi economici che orientano quali prodotti vengano proposti alla clientela.
Bce e Cese d’accordo: incentivi non compatibili con “migliori condizioni per il cliente”
Prima di arrivare a questo punto, gli organi consultivi dei legislatori europei hanno, per così dire, rincarato la dose sui problemi legati alle retrocessioni. Il Comitato economico e sociale (Cese), nel suo parere ufficiale relativo al “controverso aspetto del divieto di ricevere pagamenti per la trasmissione degli ordini dei clienti ai fini dell’esecuzione (pagamento per il flusso di ordini)” ha raccomandato “di rafforzare il seguente principio: gli intermediari finanziari possono selezionare la sede di negoziazione o la controparte incaricata di eseguire le operazioni dei loro clienti esclusivamente al fine di ottenere le condizioni migliori di esecuzione per tali clienti”. A tal propositio, il Cese, così come la Commissione Ue, ritiene che “i pagamenti materiali o immateriali corrisposti dalla sede di esecuzione o dalla controparte agli intermediari finanziari per la trasmissione degli ordini di esecuzione sono fondamentalmente contrari a detto principio”. Pertanto, secondo il Cese, le retrocessioni contrastano “le condizioni migliori di esecuzione per i clienti”.
Anche la Banca centrale europea, lo scorso giugno ha affermato in un parere pubblicato in Gazzetta ufficiale che “il pagamento per il flusso di ordini possa ostacolare l’efficienza del mercato e la trasparenza dei mercati europei dei capitali”.
Il nodo delle retrocessioni, alcuni numeri
La Commissione europea, in vista delle future mosse normative, ha fatto realizzare uno studio per capire se, e in quale misura, le retrocessioni percepite dalla consulenza finanziaria possano contrastare gli interessi degli investitori. Nelle conclusioni del report di oltre 350 pagine, pubblicato il 22 luglio, si afferma che “l’applicazione di incentivi si riflette in costi più elevati per gli investitori al dettaglio”, poiché tale costo “sembra essere trasferito” al cliente finale. Infatti, “i prodotti su cui vengono pagati gli incentivi sono – in media – più costosi di circa il 35% rispetto ai prodotti di investimento su cui non vengono pagati incentivi”. Nel rapporto viene osservato in modo empirico che il cliente, anche se informato della presenza di retrocessioni nei servizi di consulenza che sta ricevendo (come d’obbligo secondo le normative vigenti) non cambia in modo significativo le sue decisioni e tende a seguire i consigli del consulente a prescindere dalla qualità del suggerimento fornito. Inoltre, è stato rilevato, tramite osservazioni anonime “sul campo” (mystery shopping) che, di fatto, i documenti informativi “raramente contengono informazioni esplicite sugli incentivi” e che “è necessario cercare le informazioni in merito in altri tipi di documenti e anche lì queste informazioni non sono fornite in modo chiaro e diretto”.
Ricapitolando, è stato dimostrato che il meccanismo degli incentivi è associato a costi finali più onerosi del 35% a carico del risparmiatore, che il cliente spesso non è messo nelle condizioni di sapere se gli incentivi ci sono e che, anche in quel caso, non si mette sulla difensiva: il consiglio del consulente viene seguito anche quando è “cattivo” (sic).
Tutte queste problematiche si allineano alle posizioni espresse dalla la Commissione europea, che ha proposto l’abolizione degli incentivi in tutta l’Ue, con i pareri favorevoli del Cese e, più morbidamente, della Bce.
Chi si oppone e chi appoggia l’abolizione delle retrocessioni
Per il momento, nessun gruppo d’interesse del mondo bancario e finanziario ha ancora incontrato la relatrice della Commissione dell’europarlamento che presenterà gli emendamenti alla Mifir, l’economista Danuta Huebner, perlomeno, non sull’emendamento alla Mifir 2021/0385 che contiene il divieto alle retrocessioni (le informazioni sulle attività di lobbying, come sempre nell’Ue, sono pubbliche). L’ufficio di comunicazione della prof. Huebner, comunque, ha confermato a We Wealth che “l’impressione da parte nostra è che per il momento la maggior parte di coloro che beneficiano [degli incentivi], una larga parte dell’industria finanziaria in Europa, sono ovviamente contrari [al divieto], con qualche eccezione”.
A incoraggiare con forza l’abolizione delle retrocessioni, invece, è la Federazione europea degli investitori e degli utilizzatori dei servizi finanziari (Better Finance). “L’Ue sta attualmente affrontando un’enorme carenza di consulenza imparziale nel mercato della distribuzione di prodotti di investimento al dettaglio, dovuta all’esistenza e alla predominanza di commissioni al punto vendita pagate dai produttori di prodotti ai cosiddetti ‘consulenti’”, ha dichiarato il managing director della federazione, Guillaume Prache, “la proposta di vietare questi ‘incentivi’ rappresenta un passo importante nella giusta direzione e consigliamo vivamente al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Ue di trasformarla in una normativa comunitaria”.
Il voto conclusivo della Commissione parlamentare è atteso per il 31 gennaio e, solo in seguito, il testo potrà raggiungere l’Aula plenaria dell’Europarlamento e il Consiglio Ue per l’eventuale approvazione. Al di là dei pronostici, le posizioni in questa partita, sembrano ormai delineate: da un lato istituzioni e associazioni dei risparmiatori, dall’altro il grosso dell’industria finanziaria.