L’inflazione riguarda più gli Usa che l’Europa, per via di una ripartenza anticipata e pacchetti di stimolo che sono stati più massicci e più rapidi; inoltre in Europa molte aziende sono sopravvissute a malapena grazie ai sussidi e pertanto detengono un potere di determinazione dei prezzi molto esiguo
Sul fronte equity, l’impatto iniziale è positivo perché si associa a un rimbalzo ciclico e innesca una rotazione su titoli value e ciclici. Ma se il trend prosegue esiste un rischio concreto per gli utili dei settori ciclici di bassa qualità a favore di titoli tech di alta qualità che vantano potere di determinazione dei prezzi e alta visibilità degli utili
È dunque lecito chiedersi se questa spinta inflazionistica in Usa, ampiamente recepita dai mercati, sarà transitoria come ribadito dalle banche centrali o diventerà strutturale. I dati da guardare sono due: il primo, la crescita economica attesa, che nei prossimi due anni è molto sostenuta, non meno del 10% in Usa e dell’8% in Europa, secondo Fmi. “Si tratta di cifre che giustificano la relativa euforia degli investitori Usa soprattutto nei settori ciclici. Ma indicano anche che la crescita è sopra il potenziale: ed è questo il secondo dato discriminante – spiega Thozet – questo genera inevitabili pressioni sui prezzi delle materie prime sui salari sulle importazioni”. Negli ultimi anni la crescita potenziale è scesa a un livello basso, penalizzata dal tasso di investimenti produttivi e popolazione in età lavorativa entrambi in calo, quindi la crescita attesa dei prossimi 24 mesi è oscurata dal rischio surriscaldamento. “Un rischio che dipende dal fatto che l’output gap, ovvero il divario tra crescita potenziale ed effettiva si chiuderà facilmente”.
Dunque, l’aumento dell’inflazione negli Usa potrebbe non essere un fuoco di paglia. E se così non fosse, la domanda successiva dovrebbe essere se il totale cambiamento di contesto quantomeno negli Usa possa determinare un ribaltamento nel trend dei tassi di interesse. “Per rispondere bisogna guardare all’andamento degli ultimi 12 anni – spiega l’esperto di Carmignac – a fronte di una abnorme creazione di moneta non abbiamo avuto un impatto equivalente sull’inflazione. Ma l’impatto non c’è stato perché per tutto il periodo del qe la liquidità delle banche centrali non ha mai raggiunto l’economia reale, ma è rimasta intrappolata nel sistema finanziario provocando aumenti solo dei prezzi di bond e azioni e non in quelli dei beni di consumo, anche per la contemporanea stagnazione dei salari. Oggi il fattore discriminante è che sono i governi a immettere liquidità e non le banche centrali, indirizzandole a consumatori e aziende e non solo al sistema finanziario”.
Tuttavia, non va neppure escluso un totale stravolgimento della politica economica in essere, che è quella iniziata 40 anni fa con Reagan: l’ideologia liberale caratterizzata da minori interventi del governo, minor pressione fiscale, minor regolamentazione, maggior globalizzazione: tutti elementi che hanno sostenuto la disinflazione e il calo dei tassi fino ad oggi. “Biden potrebbe imboccare la direzione opposta innescando una salita strutturale dei prezzi”.
Il mercato non se lo aspetta: si tratta al momento solo di un rischio, ma il cui impatto, che sarà globale, va gestito per gli effetti potenziali su bond e azioni. “Sul fronte delle obbligazioni corporate gli spread si sono ristretti al punto che i rendimenti offrono una copertura minima sul rialzo dei tassi, per cui bisogna essere selettivi – dice Thozet – I tassi di interesse sono diminuiti così tanto che se 12 anni fa la cedola avrebbe permesso di recuperare in due anni l’aumento del prezzo indotto dall’aumento dei tassi dell’1%, oggi ce ne vorrebbero sette”.
Sul fronte equity rischio è anche più complesso: l’aumento dell’inflazione ha inizialmente un impatto positivo perché si associa a un rimbalzo ciclico e dunque fa aumentare le quotazioni azionari, innescando una rotazione su titoli value e ciclici come avvenuto negli ultimi sei mesi. “Se la Fed non intervenisse e consentisse il surriscaldamento dell’economia, questo trend potrebbe proseguire. Ma se aumentano le aspettative di inflazione, si deteriorano sia i rendimenti obbligazionari sia la crescita economia. Questo comporta un rischio concreto per gli utili dei settori ciclici di bassa qualità – conclude lo strategist – a favore di titoli tech di alta qualità che vantano potere di determinazione dei prezzi e alta visibilità degli utili”.
(articolo pubblicato sul Magazine We Wealth, numero di giugno)