Il sondaggio online, attivo dal 31 maggio al 4 giugno, ha raccolto le risposte di 1.010 partecipanti (i cui dati sono stati ponderati in base al contributo della propria nazione al prodotto interno lordo globale)
La crisi pandemica resta al primo posto tra i rischi per la crescita economica, ma la quota di coloro che lo affermano si è ridotta in misura significativa. A citarlo è il 28% dei soggetti provenienti dai paesi sviluppati
Mentre il secondo anno di pandemia è ormai avviato, la ripresa economica guadagna slancio. O si prevede che lo farà in diverse parti del mondo. Almeno nelle attese di McKinsey che, nella sua nuova survey globale, rivela come intanto emergano nuovi punti deboli e rischi per la crescita. Con un minor numero di dirigenti che pongono la crisi in cima alla lista di preoccupazioni.
Il sondaggio online, attivo dal 31 maggio al 4 giugno, ha raccolto le risposte di 1.010 partecipanti (i cui dati sono stati ponderati in base al contributo della propria nazione al prodotto interno lordo globale). L’emergenza pandemica resta dunque al primo posto tra i rischi per la crescita economica secondo gli intervistati, ma la quota di coloro che lo affermano si è ridotta in misura significativa. A citarlo è il 28% dei soggetti provenienti dai paesi sviluppati, contro la metà della controparte proveniente dai paesi emergenti (nel precedente sondaggio risalente al mese di aprile si parlava in questo caso del 65%). Intanto, a impennare sono i timori relativi all’inflazione, citata come un rischio dal 28% dei partecipanti alla survey, rispetto al 12% dello scorso marzo e all’8% di dicembre 2020. Parallelamente, le interruzioni della catena di approvvigionamento si legano alla debole domanda della clientela come il rischio più comune per la crescita aziendale per il 28% dei soggetti.
L’analisi per regioni, invece, indica come nel Nord America gli intervistati tendano a citare più spesso l’inflazione (indicata dal 45%), seguita dalle interruzioni della catena di approvvigionamento, dai conflitti politici interni e dall’incremento delle tasse. In America Latina, poi, gli intervistati indicano i conflitti politici interni più della pandemia (43% contro il 32%). Sotto la lente d’ingrandimento anche i tassi d’interesse, con poco più della metà dei dirigenti che ritiene che aumenteranno nei prossimi sei mesi (contro il 38% della precedente rilevazione). In questo caso, a citarlo sono il 70% dei partecipanti del Nord America, a stretto giro quelli dell’America Latina (64%), mentre si mantengono più distanti gli indiani (22%).
Intanto, il sentiment nei confronti delle rispettive economie nazionali continua a migliorare. Il 73% dell’intero cluster considera le condizioni dei propri paesi migliori rispetto a sei mesi fa, ben 20 punti percentuali in più sul trimestre precedente. Lo stesso vale anche per l’economia mondiale, con il 70% che registra un miglioramento rispetto a sei mesi fa, la quota più elevata dell’ultimo decennio di rilevazioni di McKinsey. Quanto ai mesi a venire, il 79% si attende che le condizioni dei propri paesi d’origine miglioreranno nel prossimo semestre, mentre per la prospettiva globale la percentuale di ottimisti sale all’81%.
Ai soggetti sono stati infine sottoposti nove scenari sull’impatto economico della pandemia e, per la prima volta da luglio 2020, il 25% ha citato lo scenario “A3” (caratterizzato dal contenimento degli effetti del virus sulla salute pubblica e un forte rimbalzo della crescita). Va dunque a sostituire lo scenario “A1” (caratterizzato da ricadute localizzate dell’impatto del virus sulla salute pubblica e da una crescita più lenta a breve termine), indicato dal 19% degli intervistati contro il 29% della rilevazione precedente.
Il sondaggio online, attivo dal 31 maggio al 4 giugno, ha raccolto le risposte di 1.010 partecipanti (i cui dati sono stati ponderati in base al contributo della propria nazione al prodotto interno lordo globale)La crisi pandemica resta al primo posto tra i rischi per la crescita economica, ma la qu…