L’intera iniziativa della Commissione europea è strutturata su tre pilastri:
- sostegno agli Stati membri per investimenti e riforme;
- rilancio dell’economia dell’Ue incentivando l’investimento privato;
- trarre insegnamento dalla crisi.
Si tratta per l’Italia di un’occasione straordinaria, in particolare per investire risorse nella difesa del territorio dai rischi derivanti dal mutamento climatico, sempre più esasperato. Peraltro, l’Italia è il Paese che insieme alla Spagna andrà a ricevere la quota maggiore delle risorse.
Per avere un effetto reale e strutturale, però, il piano deve calarsi nell’ordinarietà dell’impegno politico e amministrativo del nostro Paese, altrimenti il suo impatto sarà solo provvisorio, e tutto tornerà come prima. Il piano, al contrario, deve produrre riforme e piani di attuazione che impostino una nuova quotidianità del buon vivere e deve coordinarsi con i tanti piani già esistenti in Italia ma scarsamente applicati, non coordinati e a volte poco coerenti tra di loro.
Questa pandemia difatti ha colto tutto il mondo di sorpresa e – proprio a causa dell’assoluta impreparazione – ha avuto effetti devastanti per la società e per l’intero sistema economico. Ma, a ben considerare, se avessimo chiesto anni fa a un esperto di malattie infettive di pronosticare il rischio pandemico, ci avrebbe risposto che non era possibile predire dove e quando si sarebbe manifestato, ma che era solo questione di tempo.
Per affiancare agli investimenti previsti dal Pnrr investimenti privati ben più sostanziosi, indispensabili per attuare una crescita economica significativa, diventa cruciale innescare un circolo virtuoso tra questi due filoni, con una decisa azione di riforma che renda più agili ed efficienti le procedure burocratiche aumentando l’attrattività degli investimenti.
Nel concreto, cosa sarebbe necessario fare?
Non v’è dubbio che il problema rilevantissimo del cambiamento climatico oramai in atto – oltre ai danni ingenti di eventi meteoclimatici sempre più estremi – ha già prodotto un profondo cambiamento degli schemi stagionali, con effetti assai nocivi sui periodi di semina e di raccolta e dell’intero sistema agricolo. È dunque necessario operare a livello nazionale e locale con azioni di adattamento per contenere gli impatti – anche da un punto di vista progettuale e ingegneristico delle opere pubbliche, ricorrendo ai metodi dell’ingegneria naturalistica, che prevede come materiali da costruzione biologici, evitando, ove possibile, il ricorso al cemento armato – per affrontare in maniera organica il dissesto geologico, idrologico e idraulico, l’innalzamento dei mari e l’erosione delle zone costiere, la tutela delle biodiversità e degli insediamenti urbani.
Si impone poi una massiccia opera di sburocratizzazione, per semplificare i processi ed evitare i fenomeni tipici dei veti incrociati tra diversi enti e l’assenza di concertazione e l’evidente squilibrio tra azioni e strumenti autorizzatori ex ante, spesso macchinosi e ipertrofici, e azioni e strumenti di monitoraggio e verifica ex post, spesso assenti o carenti.
Occorre inoltre intervenire profondamente sul contesto amministrativo e istituzionale che è abituato a operare con fasi lente e spesso non coordinate, che rimangono poi ostaggio a lungo di giudizi di impugnazione ancor più lunghi e incerti, con il risultato di realizzare interventi ormai “vecchi” e che spesso hanno già perso molto del loro significato originario, esclusivamente per non “perdere i finanziamenti”.
Non v’è dubbio, gli interventi necessari sono moltissimi e coinvolgono molteplici fronti. Ed è indispensabile innanzitutto la programmazione, poiché come insegnava Benjamin Franklin “if you fail to plan, you are planning to fail”.